Istituto Universitario Don Giorgio Pratesi

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Diari Secondo Incontro del ciclo “Conversazioni dal Sud. Pratiche politiche, educative e di cura”

Il tema affronto nel secondo incontro di Conversazioni dal Sud ha riguardato le pratiche educative decoloniali nell’Amazzonia Brasiliana.

Un incontro che ha permesso la narrazione di esperienze personali e professionali nel mondo educativo e sociale ma, prima di tutto, è stato l’incontro tra persone sconosciute provenienti da ambienti geografici, culturali, politici e linguistici differenti, eppure accomunati dalla stessa umanità e sensibilità.

È emersa la voglia comune e l’importanza di camminare insieme per migliorare il contesto in cui si vive o in cui si lavora; per scardinare le logiche di mercato, gli interessi di potere e capitalistici che provocano l’aumento di condizioni di povertà, di disagio, di soggezione e disuguaglianze sociali.

Sono stati tanti gli interrogativi, le curiosità e le riflessioni proposti per la costruzione di un ben vivere comune che possa partire dalla nostra storia individuale ancestrale e arrivare a interconnettersi con le altre per creare una storia collettiva più giusta ed egualitaria.

Difatti, l’Amazzonia in Brasile è una terra di grande complessità e diversità culturale, economica e sociale, ma con un unico filo conduttore a guidare i suoi popoli, ovvero il sentimento di riscatto, di giustizia sociale, di resistenza e di cambiamento. Così come si caratterizza ogni incontro partecipato di Conversazioni dal Sud.

 

Simona Cianflone, studentessa dell’Istituto Universitario don Giorgio Pratesi

Da questo secondo incontro, che ha messo in luce la saggezza delle culture afrodiscendenti dell’Amazzonia, il concetto chiave che mi sono portata a “casa” è stato quello dell’educazione come cura e pratica del Ben Vivere per rovesciare il sistema mondo moderno-coloniale che ci spinge sempre più a vivere nell’indifferenza e a razionalizzare il mondo a partire da logiche imprenditoriali. La concezione di Ben Vivere che recupera l’idea di casa comune, per cui tutti gli esseri viventi hanno diritto alla vita e che per la vita si deve lottare, diventa la base per una visione di vita fondata sulla reciprocità, relazionalità, complementarietà e solidarietà tra individui e comunità. Una concezione che mai come ora credo sia giusto fare nostra e da cui ripartire per rivedere i nostri sistemi culturali.

 

Stefania Catricalà, studentessa dell’Istituto Universitario don Giorgio Pratesi, e Silvia Catricalà

L’incontro di oggi è stato molto piacevole, è la prima volta che in un incontro tra diverse culture non si parla di inclusione ma di connessioni…una parola giusta e generosa, non c’è pretesa ma collaborazione. Dentro questo pianeta l’altro, qualsiasi essere, esiste per un motivo e in assenza di connessione si crea il caos. L’armonia accade quando la persona non perde la propria identità nell’incontro con l’altro ma nelle differenze si crea la magia di un nuovo equilibrio con noi stessi e con la grande Madre Terra.

 

Hassania Lakrad, studentessa dell’Istituto Universitario Progetto Uomo

Altro incontro molto interessante colmo di spunti e riflessioni. Il tema della diversità e dell’incontro con l’altro è tornato anche in questo secondo incontro ed è sempre un ottimo inizio per una riflessione interiore e personale. Mi ha colpito particolarmente il concetto di re-esistenza, che non è solo resistere ma va più in profondità, spinge verso l’affermazione di quello che siamo, implica vivere e convivere.

Convivere è un termine che ora più che mai ci riguarda, in un mondo così vario e vasto, pieno di sfumature e in continuo movimento. Riflettere sull’importanza della diversità e de suo significato etimologico è un salto che dovremmo fare tutti.

La diversità arricchisce, mi piace vedere l’altro come lo specchio di noi stessi, in cui riconoscersi, sempre arricchiti ma consapevoli delle differenze.

È stato inoltre bello sentire paragonare l’educazione alla cura. C’è bisogno di cura, c’è bisogno di attenzione, c’è bisogno di pace. Ora più che mai.

 

Alessia Vecchioni, studentessa dell’Istituto Universitario Progetto Uomo

Fare proprio il concetto del “ben vivere”, della “casa comune”, riporta all’idea di cittadinanza planetaria. Fondamentale è scardinare l’idea di “diversità” con accezione negativa e raggiungere la consapevolezza che la diversità è ricchezza; distaccarsi dall’etnocentrismo che caratterizza la nostra società per comprendere che tutti gli esseri viventi hanno diritto ad una vita dignitosa, alla giustizia, a vedere riconosciuti i propri diritti e ad essere considerati nella loro singolarità.

Modificare il nostro punto di vista e pensare ad un mondo in cui persone e culture diverse possano collaborare e cooperare in relazione e nel rispetto della Terra. Riflettere sui saperi ancestrali per cui ogni persona è in relazione con tutti gli esseri viventi e le forza dell’universo in una stretta relazione di reciprocità. Nulla accade per caso: il passato che alimenta il presente per la costruzione del futuro.

 

Beatrice Ceccarani, studentessa dell’Istituto Universitario Progetto Uomo

Ho partecipato per la prima volta a questo ciclo di incontri. Ammetto che sono entrato nell’incontro con non poca facilità per la densità degli argomenti trattati. Degli interventi molto forti da un punto di vista emotivo, ecco a me è arrivata la passione che i relatori hanno messo nei loro interventi, come se gli interventi prima di farli a noi li stessero facendo a se stessi e questa cosa mi ha piacevolmente colpito.  Alcune parole mi sono risuonate dentro come l’espressione del passato che nutre il presente per permettere di costruire il futuro. Ecco, mi sono interrogato molto su questa espressione, interrogando anche il mio di passato, a volte denigrato e nascosto, invece ho avuto conferma che è proprio quel passato, e parlo in special modo della mia vita, ad essere fondamento per la costruzione del futuro. Collegata a questa c’è stata un’ulteriore espressione proposta dal primo relatore, Reinaldo Matias Fleuri, quando ha detto che è dentro se stessi che vanno ricercate le cose essenziali, è dentro noi stessi che connettendoci con le origini ancestrali possiamo connetterci con tutta l’umanità. Questo secondo incontro mi ha fatto respirare un’aria di “fraternità” globale, un respiro a pieni polmoni, mi ha permesso, mi ha dato la possibilità di aprire gli occhi ed allargare gli orizzonti della mia vita a volte troppo chiusi nel recinto che mi costruisco, per – ripetendo le parole del professore Fleuri – darsi la possibilità connettersi con tutta l’umanità.

 

Francesco Cutillo, studente dell’Istituto Universitario Progetto Uomo

Avere l’opportunità di poter vedere questo confronto a più voci è un’esperienza unica, la prima cosa che viene detta è che in questo incontro si darà valore alla propria lingua di appartenenza che mette in comunicazione voci diverse proprio per dare importanza ai propri dialoghi. Sin da subito si chiariscono i punti fondanti del dialogo che ascolteremo basati sulla cura, sull’educazione, sulle pratiche politiche, sulla decolonizzazione ecc… Sono state fatte varie presentazioni in cui si condivide la necessità di promuovere le opportunità di vita per tutti gli esseri viventi a partire dal Sud del mondo che deve re-e-sistere, una delle parole chiavi del primo intervento, rivivere ed educarsi per imparare a vivere in pienezza, preservando le differenze  e attivando le relazioni di reciprocità. In questo contesto si trova spazio per l’ecopedagogia, che va al di là della cittadinanza planetaria dato che la terra viene considerata come un essere vivo e in quest’ottica un’unica comunità. Tutti noi dobbiamo imparare ad avere rispetto per la terra, soprattutto le popolazioni del Sud America che sono soggette al colonialismo devono imparare la concezione del “ben vivere” che necessita di inclusività, rispetto, reciprocità. Un’altra osservazione interessante ci viene fornita quando si parla di un progetto che promuove la formazione delle donne in Amazzonia, che spesso sono vittime di incidenti con le proprie imbarcazioni in cui perdono il cuoio capelluto, e vengono sottoposte così a lunga degenza ospedaliera. Proprio in questi momenti si cerca di aiutare queste donne con una formazione scolastica e psicologica che permetta loro di creare la propria indipendenza non affatto riconosciuta in un mondo dove la figura maschile è quella prevalente. È così che nell’educazione dei singoli si vanno a fondare le potenziali possibilità di vita di tutti. A seguire ci vengono illustrati come gli studenti indigeni per cui le possibilità di studio sono di difficile accesso riescono con la loro voglia di formarsi a diventare autori e autrici delle proprie tesi di laurea per sfidare la rigidità delle discipline e dei metodi. Dai tre ricercatori ci vengono forniti spunti di riflessione sugli obiettivi di una ricerca sulle proprie origini e della propria valorizzazione culturale e psicologica. In questo contesto fondamentale è anche l’aiuto dato dal Fondo Amazzonia che si occupa anche delle problematiche e delle soluzioni associate alla deforestazione in un contesto dove gli stessi indigeni cercano di ribellarsi alla subalternità che la società e il mercato impongono loro.

Tutto ciò ha stimolato molto la mia curiosità rispetto a questa tematica, fornendo così un motivo di spunto e riflessione per avere maggiore conoscenza e consapevolezza. Ascoltare per me equivale ad accogliere punti di vista che convergono in un confronto raccolto in un’unica voce che è la voce di molti e che sicuramente come più volte detto è un modo di esserci per sovvertire il processo di globalizzazione. È importante fare la differenza e essere una voce fuori dal coro, permette di riconoscersi negli altri e non sentirsi soli. Interessante soprattutto in un momento storico come questo rivolgere attenzione verso il singolo che non è solo, ma organizzato in movimenti sociali.

 

Livia Crescia, studentessa dell’Istituto Universitario Progetto Uomo

Le riflessioni e le narrazioni che si sono susseguite durante l’incontro sono state molto dense, coinvolgenti e quindi stimolanti!

Le quattro relazioni ognuna con la sua originalità e singolarità mi hanno permesso di allargare lo sguardo e l’orizzonte di riflessione. Ho percepito durante tutta la conferenza, la presenza di un sentire comune, un desiderio e un’azione trasformatrice che univa tutti i partecipanti. Anche solo ascoltando è stato impossibile non coinvolgermi.

Il processo riflessivo innescato dal Prof. Fleurì, non mi ha “abbandonato” durante tutta la conferenza: SISTERE, ESISTERE, R-ESISTERE, RE-SISTERE, RE-ESISTERE. Che intuizione potente è stata! Non avevo mai pensato all’ultima parola della sequenza, mi sono sempre fermata a R-ESISTERE… invece questa immagine di una re-esistenza, di un ri-vivere, mi ha catturato i pensieri! In questa fase molto complessa e complicata della pandemia, spesso mi sono detta o mi sono sentita dire “resisti!”, come frase di incoraggiamento, ma che mi permette di vedere al massimo la fatica nell’attesa della fine… Una sopportazione!

 Il concetto di RE-ESISTENZA è ben più profondo e credo che doni senso e significato al qui ed ora, non per sopportarlo, ma per viverlo, per goderne appieno e con consapevolezza fare la nostra parte. Per re-esistere è necessario recuperare le nostre radici ancestrali e riscoprirci connessi. Anche questo concetto mi è risuonato molto, perché in questi ultimi mesi mi scopro connessa, ma molto più alla rete wi-fi che all’umanità ed è un rischio che non avrei mai creduto di poter correre nella mia vita!

La paura dell’incontro, il desiderio di mettere frontiere tra noi e l’altro sta diventando sempre più reale e sempre più una possibilità. Se mi fermo al resistere, dico a me stessa e agli altri che passerà, mi racconto con buonismo e ingenuità che io sono “immune” da questo rischio di individualismo… Se RE-ESISTO cerco l’incontro con l’altro, guardo e accolgo la mia inedita paura dell’incontro, me ne prendo cura, senza fingere che non ci sia, ri-scoprendo la vitalità che solo con l’altro posso cogliere.

Le testimonianze dirette, riportate nelle due relazioni finali, sono state due esempi di re-esistenza, coraggiosi, concreti e possibili.

 

Laura Santinelli, studentessa dell’Istituto Universitario Progetto Uomo

Da questo secondo incontro del ciclo “Conversazioni dal sud” mi sento di essere stata arricchita dai numerosi spunti di riflessione che ne sono scaturiti. Gli interventi sono stati fatti nella lingua originale dei docenti e degli studenti che hanno partecipato, il portoghese, lingua che ho cominciato a sentire familiare così come ho sentito interessante e profondo il tema della conversazione. L’incontro, come pure la lezione in Università ci sostiene nel viaggio che abbiamo deciso di intraprendere, lo stesso viaggio che ci porta ad andare contro corrente, conto una cultura, contro un pensiero comune e spesso anche contro una formazione che ci viene proposta. Mi ha colpita in modo particolare, nel primo intervento, il nascere di questi movimenti per resistere ai cambiamenti e andare contro un sistema. I popoli dell’Amazzonia come tanti altri cercano di mantenere l’identità profonda delle loro culture che la modernità sta cercando di sopprimere.

Resistere, questo termine che indica alzarsi, restare in piedi in un mondo ostile, resistere ma non da soli, partendo dalle proprie radici e restando uniti, convivendo con le altre realtà. Questa è una modalità di resistere insieme portando il proprio bagaglio, il passato che nutre il presente e permette di camminare uniti verso il futuro. Convivendo con chi è diverso da noi, creando una connessione ci si può arricchire a vicenda, rimanendo sé stessi, portando la propria originalità ognuno di noi diventa parte generativa dell’altro. Il Ben Vivere scaturisce proprio da questo incontro e da questo scambio che comporta un andare contro il pensiero comune, contro le logiche della “necropolitica”. Questa è la sfida di oggi per noi educatori e grazie anche ai saperi e alle conoscenze dei popoli dell’Amazzonia e di tante altre civiltà appartenenti a quelle subumanità, come le definisce Krenak, possiamo imparare come attraverso processi educativi legati a processi organizzativi, comunitari, di economia solidale, e insieme alle quali possiamo anche noi contribuire alla costruzione di una società più giusta.

 

Maria Stabile, studentessa dell’Istituto Universitario Progetto Uomo

L’incontro, che si compone di quattro interventi, ha acceso il mio interesse e la mia conoscenza sia da un punto di vista teorico (attraverso lo sfondo della Pedagogia di Paulo Freire) che pratico-esperienziale. L’intervento del Professor Fleuri affronta il tema delle frontiere interculturali connesse al concetto di declino ecologico, del rischio di guerre nucleari e di distruzione dei regimi democratici che possono essere contrastate dai popoli ancestrali solo grazie al concetto reale di RE-ESISTENZA e RECIPROCITÀ e il potere di superare il rischio di esclusione e divenire spazio di vita e pienezza. Fleuri parla di RE-SISTENZA come capacità di crescere dall’interno verso l’esterno per sviluppare uno spirito di indipendenza e coltivare le differenze nelle quali ognuno si costituisce persona. Trovo questo concetto di una potenza unica perché raccoglie in sé un messaggio ancora più forte, ossia quello di una possibilità concreta di trasformazione sociale e comunitaria. Le pratiche presentate delle donne ribeirinhas in Amazzonia mi ha colpito particolarmente da un punto di vista del potere della resistenza e della trasformazione generatrice della sofferenza: le donne del fiume che, passando per il dolore, riescono a vivere l’esperienza educativa e formativa durante il periodo di convalescenza mi porta a rivedere la formazione sotto altri punti di vista. Partendo dal basso, dal vivere anche le esperienze più difficili, possono nascere “saperi esperti”. Questa lettura mi porta a calarmi in un’ottica di valorizzazione delle esperienze di vita e di riconoscimento della dignità di ognuno. Mi colpisce tantissimo anche il concetto di descostruire i saperi nell’ottima critica e di riflettere provando a “svegliarsi dal sonno” per affermare la nostra esistenza e la nostra parola. Certo c’è molto da decostruire, come più volte è stato ripetuto durante la conferenza, ma a me sono sembrate due azioni di un valore incredibile e dalle quali lasciarmi scuotere! L’azione educativa non può essere neutrale e da queste testimonianze si evince in maniera chiara questo concetto: se l’azione è neutrale, non può essere trasformativa.

Sara Fusco, studentessa dell’Istituto Universitario Progetto Uomo

Denunciare ed annunciare. Parto dalla fine di questo secondo incontro. Non posso non pensare a quanto di vero c’è in questo messaggio. Spesso denunciamo senza annunciare nulla, è una attitudine, un comportamento che ci assale in modo violento a volte, che non porta nulla… il solo denunciare.

La bellezza di questi interventi sta nel fatto che attraverso di loro sto imparando termini, concetti di una profondità e verità che mi trovano davvero impreparata.

Mi soffermo in particolare sull’ esperienza educativa delle donne ribeirinhas, le donne del fiume.

Non nascondo di essermi emozionata nel sentire parlare della loro storia ed ho trovato l’intervento bellissimo: cartografia dei saperi, circolo dei sogni, dei sentimenti, dialogo liberatore. Gli intenti di tali pratiche verso queste donne sono di una nobiltà e di una etica umana tali che non trovo giuste parole per esprimerle. Mi sento veramente piccola rispetto al lavoro di queste persone, al loro impegno. Vorrei davvero che tanti di noi prendessero coscienza del bene comune della nostra terra Gaia. Di quanto siamo tutti collegati, di quanto stiamo rischiando, come dice il prof. Fleuri. Di quanto il ben vivere non è quello che pensiamo noi, fatto di immagine esteriore, di canoni assurdi di potere economico, ma un’esperienza umana volta a riconoscere tutta l’umanità degna di diritti quali avere un mondo giusto nel senso ecologico e politico decolonizzato.

Credo che la bellezza dei popoli originari e del loro sapere, delle lotte per la loro e nostra terra, la foresta, il patrimonio di tutti noi, debba assolutamente rientrare nei nostri pensieri ed agiti.

 

Tiziana Puzzovio, studentessa dell’Istituto Universitario Progetto Uomo

All’ascolto delle parole dei partecipanti al convegno, la domanda che si genera in me è: ma io da che parte sto? Da che parte del mondo sto?

L’impatto iniziale che ho con i temi trattati è che sono così tanto attuali e importanti da essere per me lontani e irraggiungibili. La pigrizia che sopraggiunge mi suggerisce che l’esperienza che potrò fare di queste testimonianze sarà un ascolto attento ma distaccato, lo scopo sarà quello di comprendere quante più informazioni possibili per poi elaborare una mia riflessione personale.

Eppure andando avanti con l’incontro, mi rendo conto che quello che attira la mia attenzione non sono tanto le informazioni, quanto le testimonianze. L’umanità che traspare dalle parole e dalle storie e delle relatrici e dei relatori è contagiosa, permeante, molto vicina. Si parla di ideali e di sogni, ma si parla anche di realtà, di storie di donne e di uomini che ci raccontano un ben vivere possibile, già in atto, mai dimenticato. L’energia di questi racconti è un’energia umana o, meglio, sub-umana, è un’energia che parla di terra, di cura, di dignità, di universalismo.

Da che parte del mondo sto?

Nel mio pensiero e nel mio modo di vivere sicuramente molti sono i muri fatti di mattoni “necropolitici”. Eppure, ascoltando queste testimonianze, non posso non riconoscere la presenza, in queste mie mura, di crepe da cui nascono piccole piante vive, che non rimangono indifferenti alla verità e alla ineluttabile e mite potenza di queste parole.

Per usare un’espressione del professor Colares, mi piace l’idea di essermi anch’io pian piano messa a pensare con il mio corpo speranzoso.

 

Veronica Lazzari, studentessa dell’Istituto Universitario Progetto Uomo